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Riutilizzo, riciclaggio e recupero

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  • INFO POINT
  • Di Arcangelo D'alessandro
  • Dove: Roma

In occasione della Giornata mondiale del riciclo alcune riflessioni utili ad aumentare la consapevolezza dei cittadini sul cambiamento e sulla necessità di agire subito

É di qualche giorno fa la notizia dell’intesa, siglata fra i 27 Paesi dell’Unione Europea, sul nuovo regolamento UE che regola gli imballaggi; frutto del negoziato tra Consiglio e Parlamento europeo sulla revisione della direttiva sul packaging e il riuso del packaging, prevede che, entro il 2029, nella UE dovrà essere assicurata la raccolta differenziata di almeno il 90% annuo delle bottiglie di plastica monouso e dei contenitori in metallo per le bevande.

Stabiliti anche i target di riduzione degli imballaggi con tre soglie successive:  5 % entro il 2030, 10 % entro il 2035 e, infine, 15 % entro il 2040). Infine la nuova direttiva, una volta approvata in via definiva, obbligherà i Paesi dell'Ue di ridurre la quantità di rifiuti di imballaggio in plastica.
 

Giornata Mondiale Riciclo Riuso

Proprio oggi, nella Giornata Mondiale del Riciclo, torniamo nuovamente a parlare di problematiche inerenti i rifiuti e quindi di Ecosostenibilità, cura e salvaguardia dell’ambiente. Parlarne certo è una buona cosa; l’etimologia della parola ecologia è composta d’altra parte dal termine greco λ?γος, lógos, che in italiano è traducibile come parola o meglio discorso.
 

Diverso è, però, quando dalle parole si debba passare alla pratica quotidiana; una delle problematiche principali riguardante l’ecosostenibilità e la cura dell’ambiente, a nostro parere, parte dal concetto stesso di ‘rifiuto’. Il nostro legislatore ne individua il perimetro in maniera brillante, in quando per la legge si ritiene rifiuto ogni cosa ritenuta tale dal soggetto che la dimette in quanto non la utilizza più.

Cosa significa questa frase? In sostanza, ogni cosa non è rifiuto sino a quando non viene dismessa. Questa premessa è fondamentale: qualsiasi cosa che utilizziamo o semplicemente conserviamo non è, in linea di massima, equiparabile a un rifiuto. Diventa, infatti, rifiuto nel momento in cui viene ‘buttata via’.
 
In questa definizione e in questa concezione di rifiuto si palesa una grande opportunità: possiamo sempre, con le dovute attenzione e procedure, trasformare un rifiuto in materia prima utilizzabile per un altro processo e comunque dobbiamo compiere tutti gli sforzi possibili per allungare la vita utile di fruizione dei beni in nostro possesso.
 

Di conseguenza, il problema principale su cui ci si deve concentrare, non è tanto fare una buona raccolta differenziata (anche se il senso civico dovrebbe già portarci normalmente a farlo), ma prodigarci in modo che ogni oggetto o materia (cibo, carta, plastica, metalli, inerti da demolizione e persino prodotti potenzialmente pericolosi per l’ambiente) diventi rifiuto il più tardi possibile, sforzandosi poi di trovarne un impiego secondario (o terziario).

Se vogliamo, è un ritornare alle tradizioni del passato, recuperando le azioni che compivano i nostri nonni, che acquistavano un solo vestito (e non dieci come facciamo adesso), utilizzandolo e riutilizzandolo più volte (magari prima per andare in città alla domenica, poi a casa, di nuovo nei campi o infine come scampoli per fare altri oggetti in stoffa).

In questo modo, riusciremo a non trasformare in rifiuto una quantità importante di oggetti o materiali, riducendo le procedure di trattamento e smaltimento dei rifiuti veri e propri.

Essere ecosostenibili quindi significa innanzitutto allungare la vita utile degli oggetti che utilizziamo, in modo tale da ritardare il più possibile la loro trasformazione in potenziali rifiuti.

Ovviamente questa non è la panacea che risolverà tutte problematiche italiane e europee (per il resto del Mondo valgono logiche differenti, non dimentichiamocelo) dell’equilibrio e della sostenibilità ambientale, ma, indubbiamente, anche da un semplice punto di vista matematico, raddoppiare il tempo di vita di un bene, vuol dire dimezzare l’impatto dei rifiuti che questo bene produce nell’unità di tempo al momento della sua dismissione.

Il riutilizzo e il riuso degli oggetti della nostra vita quotidiana (non solo a livello privato, ma anche nelle filiere commerciali e industriali) devono essere le fondamenta su cui costruire il grande edificio di una società futura ecosostenibile.

Questo principio vale per tutto: partiamo ad esempio dal cibo, la riduzione degli sprechi alimentari è fondamentale e ogni grammo che si sottrae alla spazzatura, moltiplicato per milioni di italiani o centinaia di milioni di europei, può fare davvero la differenza (di nuovo una semplice questione matematica).

Le doggy bag dei ristoranti, ormai obbligatorie in alcuni Paesi europei, sono un passo fondamentale in questo senso; si tratta di ribaltare il paradigma culturale: portarsi gli avanzi a casa non è più un elemento di vergogna (era capitato anche questo negli scorsi anni), ma un fattore di cui vantarsi, oltreché un risparmio economico.

Non saremo certo più poveri, se impareremo a riutilizzare il pane secco per zuppe o impanature, anzi, probabilmente saremo più ricchi e non solo dal punto di vista economico, ma, anche e soprattutto, da quello sociale e ambientale.

Lo stesso approccio dovrebbe valere per gli oggetti: ci rendiamo conto che un paradigma di questo tipo possa essere difficile da implementare nella società odierna, imperniata su un malcompreso senso della velocità, dove tutto si consuma (oggetti, relazioni, carriere) quasi istantaneamente.
 

Dovremmo cambiare anche in questo caso l’etica della nostra relazione nei confronti di cose e persone, privilegiando una durata temporale più estesa (e forse più profonda) in ogni nostro comportamento.

Sicuramente ne guadagneremmo sia a livello economico sia dal punto di vista dell’ecosostenibilità più in generale che a livello di salvaguardia dell’ambiente. E forse anche a livello della nostra qualità di vita, ma qui entrano considerazioni personali che non sono il tema né l’obiettivo dell’articolo.